L’AGENZIA DELLE ENTRATE ACCERTA LA PRESENZA DI UN’ATTIVITÀ COMMERCIALE SE SI SUPERANO 30 TRANSAZIONI ANNUE PER IMPORTO SUPERIORE A 2.000 EURO

La domanda

Un giovane collezionista è solito acquistare e vendere, tra privati, carte illustrate attraverso piattaforme digitali. Spesso sono cards usate, passate di mano tra diversi collezionisti, a volte sono carte nuove conservate nell’imballo originale. Con la cosiddetta Direttiva UE 2021/514 (Dac7), che impone ai gestori di tali piattaforme la comunicazione al Fisco dei dati delle transazioni, al superamento di un certo numero di movimenti e di corrispettivi, in caso di numerose e piccole transazioni eccedenti i trenta movimenti annui e un corrispettivo al di sotto dei duemila euro, il collezionista che scenario si trova davanti? Dovrà dichiarare questi piccoli incassi? 


La risposta

L’applicazione della Direttiva 2021/514 ha preso avvio con il Dlgs 32/2023 dal 1° gennaio 2023, con le prime informazioni relative a tale anno comunicate entro il 31 gennaio 2024 (termine prorogato al 15 febbraio 2024). I parametri in base ai quali il venditore di beni viene “segnalato” dal gestore della piattaforma – vendite superiori a 30 transazioni per un importo superiore a 2.000 euro durante il periodo oggetto di comunicazione – sono da considerare coesistenti (articolo 2 Dlgs 32 citato). La nuova regolamentazione derivante dagli obblighi della cooperazione amministrativa in ambito fiscale, non apporta modifiche al nostro ordinamento tributario interno e, pertanto, occorre valutare quali (eventuali) effetti reddituali possono derivare, secondo i consueti canoni impositivi, dalle operazioni economiche poste in essere dal singolo soggetto attraverso le piattaforme online. È demandata, ovviamente, alla competente amministrazione finanziaria la potestà di valutare , attraverso un’eventuale azione accertatrice, la sussistenza o meno dei predetti presupposti impositivi. Per quanto riguarda la compravendita degli specificati oggetti da parte del privato, improntata ad una finalità esclusivamente collezionistica si ritiene utile dare evidenza delle seguenti considerazioni. Affinché essa possa assumere rilevanza reddituale, dev’essere caratterizzata da una molteplicità di condizioni, non sempre di immediata e agevole verifica. A riguardo, come fatto rilevare in sede di risposta all’interrogazione parlamentare 5-01718/2019, «è necessario che venga provato (da parte dell’amministrazione finanziaria in sede di un eventuale controllo, ndr) lo svolgimento di un’attività commerciale, ancorché di carattere occasionale, mediante complesse attività di analisi, dagli esiti spesso incerti, finalizzate a ricostruire una pluralità di atti – anche compiuti nell’arco di diversi anni – tra loro collegati e preordinati al conseguimento di un reddito attraverso la cessione dei beni» (in senso conforme le sentenze 2711/2006, 8196/2008 e 21776/2011 della Cassazione). Escludendo, quindi, l’ipotesi più evidente rappresentata da un’attività commerciale professionale, per configurare quella svolta in forma occasionale (articolo 67, comma 1 lettera i, del Dpr 917/1986, Tuir) occorre che sussista un marcato intento speculativo del collezionista caratterizzato da una sua preordinata intenzionalità commerciale (acquistare per rivendere) non disgiunta da un, seppure minimo, assetto organizzativo (ad esempio, procacciamento della clientela, inserzioni pubblicitarie, allestimento banchetti). Nell’ambito del collezionismo “puro” (ossia fine a se stesso), non sembra possibile riscontrare la presenza di tali presupposti a rilevanza reddituale.

Il Sole24orè

di Alfredo Calvano e Attilio Calvano

03 Settembre 2024

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